Un uomo che non muoveva più il braccio ora riesce ad afferrare oggetti, un altro alza pesi sovrumani senza battere ciglio. Il merito è di Alex, un esoscheletro per il braccio nato da una startup italiana, la Wearable Robotics. Dietro ci sono Basilio Lenzo, 28 anni, Alessandro Filippeschi, 30 e Fabio Salsedo, 52, tutti ricercatori del PercRo, il laboratorio per la robotica percettiva della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e nel 2013 hanno vinto il Premio Marzotto proprio con Alex. “Non ce l’aspettavamo”, racconta Basilio Lenzo, il più giovane del terzetto, eppure hanno battuto 458 avversari portando a casa 250mila euro più un percorso di affiancamento nella gestione d’impresa. A vederlo, questo Active Light EXoskeleton è una struttura esterna che non sostituisce i nostri arti come farebbero le protesi ma li potenzia. Segue fedelmente i complessi movimenti del braccio e può aiutare la riabilitazione di chi ne ha perso l’uso o dare una forza sovrumana a chi sta bene. “Tutti alzano cinque chili con una mano ma farlo per otto ore è un’altra cosa”, racconta Lenzo, e se il robot lo fa per noi tanto meglio.
A livello terapeutico invece l’azione del robot sul braccio può cambiare nel tempo. Come spiega Lenzo. “All’inizio può sostenere il cento per cento del peso dell’arto ma pian piano va scalando, riducendo l’azione di supporto al 90, all’80, al 70 per cento finché il paziente ritorna in forma e seguendo sempre le prescrizioni dei fisioterapisti”. L’esoscheletro infatti deve essere un aiuto e non una scusa per arrendersi. “Non si deve essere dipendenti da questi dispositivi”, fa notare Lenzo, “devono solo aiutarci a riacquistare il controllo dei muscoli e non sostituirli per sempre”. Il risvolto psicologico non è da sottovalutare. “Il paziente vede il proprio braccio migliorare la sua funzionalità e questo può spingerlo a fare la riabilitazione con più motivazione”. Va detto che di esocheletri in circolazione ce ne sono parecchi ma Alex dalla sua ha un sistema inventato dalla Wearable Robotics che risparmia energia. “I motori per funzionare consumano molta elettricità e noi abbiamo trovato un escamotage per risparmiarla usando delle molle”, spiega Lenzo, “Quando alzo un libro con un mano uso dell’energia ma quando lo poggio la spreco, perché sto solo facendo da freno a un oggetto che cadrebbe da solo”. L’idea quindi è di evitare questo spreco: “Con il nostro sistema posso tenere quel libro in mano senza consumare nulla, i motori servono solo all’inizio, per scegliere l’entità del peso da sollevare mentre le molle mi permettono di tenerlo in mano e spostarlo praticamente gratis”.
Complice il premio, dalle parole si è passati ai fatti e presto Alex sarà in vendita insieme ad altri due dispositivi robotici. Il primo è Trackhold, un supporto che si indossa sulla parte finale del braccio e ne traccia il movimento per sostenerlo in una determinata posizione. A differenza dell’esoscheletro è passivo, non ha motori e riesce a sostenere il peso del braccio senza consumare energia. È pensato soprattutto per la riabilitazione in ambienti virtuali, “come giocare a tennis al computer” e dovrebbe arrivare nei prossimi mesi a 30mila euro circa. C’è poi il fratello di Alex che ha dei motori al posto delle molle, i motori sono alimentati da energia elettrica. “È praticamente pronto, stiamo aspettando solo la certificazione”, racconta Lenzo, che prevede un prezzo intorno ai 100mila euro. Per l’Alex con le molle invece il percorso è più lungo, “almeno un anno e mezzo”. Per il futuro poi pensano a ortesi (a differenza delle protesi non sostituiscono l’arto, ma ne migliorano o potenziano la funzione) per le gambe, a esoscheletri completi per tutti i quattro arti e soprattutto a ingegnerizzare le loro idee per abbattere il prezzo. “Per il futuro l’idea è di rendere questi dispositivi più compatti, più semplici, più efficienti e soprattutto più economici”, confessa Lenzo, “Vicino al costo di un’automobile, insomma, e comunque acquistabili da chi ne abbia bisogno”.
L’interesse per gli esoscheletri dopotutto è alto e la ricerca procede a passi da gigante. Per fare il punto abbiamo contattato Antonio Frisoli, esperto di robotica e professore della Scuola Sant’Anna presso il Laboratorio PercRo in cui è nato Alex. “Al momento siamo a un punto estremamente avanzato”, racconta il professore, “e sul mercato esistono già dei dispositivi orientati soprattutto ad alleviare la fatica o alla riabilitazione”. Nati nell’ambito militare per consentire al soldato del futuro di marciare per lunghe distanze e portare carichi, “Nel tempo si sono evoluti arrivando nell’ambito sanitario e in quello civile, dove possono aiutare l’uomo a raggiungere luoghi inaccessibili a mezzi su ruote o su cingoli”. Ci sono diversi scenari legati anche all’industria, come “nei settori della logistica, dell’edilizia o dove c’è un continuo spostamento di carichi”, nota Frisoli, “In tutti quegli ambiti insomma dove un dispositivo con un prezzo concorrenziale potrebbe tutelare la salute dei lavoratori e contribuire al loro potenziamento”.
Frisoli stesso ha lavorato al Body Extender, un esoscheletro completo che potenzia la forza di chi lo indossa di ben dieci volte. In pratica consente a chiunque di sollevare un peso di cento chilogrammi come fosse una pesca. Ma le direzioni della ricerca sono magmatiche. “C’è chi sta cercando di ottimizzare questi sistemi per immagazzinare energia, consumarne meno e consentire più ore di utilizzo”, spiega Frisoli, “C’è chi studia gli algoritmi che possano prevedere il nostro movimento, chi si occupa di brain-computer interface (Bci) per controllarli con la mente, e chi punta al controllo elettromiografico, ovvero tramite la contrazione muscolare”. Il sogno però “è gestire l’equilibrio dei paraplegici senza usare le stampelle”. Per quanto avanzati infatti questi sistemi ancora non sono perfetti. A livello delle gambe per esempio, l’esoscheletro si propone di sostituire la carrozzina ma si devono ancora usare le stampelle, consente di camminare ma non in piena autonomia come si farebbe normalmente. Sul mercato ci sono tante aziende che corrono verso questa meta come la statunitense Rewalk, l’israeliana Ekso Bionics e la giapponese Cyberdyne. Realizzano esoscheletri con una struttura che cinge la vita, due snodi che avvolgono le gambe e due piattaforme in cui mettere i piedi. Funzionano ma ancora non consentono la massima autonomia e hanno prezzi da capogiro, intorno ai centomila euro, ben più di qualsiasi carrozzina. Nonostante tutto, per Frisoli il tempo degli esoscheletri commerciali non è lontano. “Credo che intorno al 2016 vedremo l’entrata sul mercato di questi dispositivi, si stanno facendo notevoli per semplificarli e renderli più economici e non manca molto”. L’uomo bionico quindi c’è già ma per vederlo in strada dovremo aspettare altri due anni. Neanche troppi, dopotutto.